lunedì 16 novembre 2009

New year's day

Capodanno 2000: il millennium bug aleggia sull´umanità, antesignano delle pandemie virali del ventunesimo secolo. La minaccia dell´azzeramento dei dati delle nostre memorie, ormai affidate in piena sicurezza solo ai computer, non mi impedisce di organizzare un capodanno come si deve. Destinazione: Monaco di Baviera. Obiettivo: Eva Heinze.
Conosciuta in un weekend di metà ottobre, Eva mi ronza in mente da due mesi, nei quali sono faticosamente riuscito ad instaurare un intreccio di comunicazioni via email che, oltre a migliorare la mia padronanza della lingua inglese, mi hanno portato ad organizzare questo capodanno oltralpe. Da quel sabato notte in discoteca, Eva danza come un capriolo lontano sulle cime dei miei desideri. Alta, bionda, sinuosa, simile ad un´amazzone volteggia nella mia posta elettronica come una benedizione di luce negli affanni della giornata.
A fine dicembre parto. Per stare quattro giorni a Monaco carico la macchina fino ad appiattire le sospensioni: tuta da sci per eventuali escursioni sulle piste, maglioni pesanti, scarpe, scarponi, scarpini da calcio ("If you like, my friends will organise a football match on New Year´s Day" mi aveva comunicato in una delle nostre corrispondenze elettroniche), camicie, pantaloni eleganti e sportivi per essere pronti a qualsiasi invito. Nove ore da casello a casello, ripassando la storia del rock dagli anni settanta ad oggi.
L´appuntamento è in Marienplatz sotto il balcone dove i giocatori del Bayern Munchen "greet the people after winning the Bundesliga" mi aveva scritto Eva nell´ultima email. Lascio la macchina e mi avvio a piedi verso il luogo indicato: Monaco mi appare bellissima sotto il manto bianco della neve caduta nella settimana di Natale. Devo inforcare gli occhiali da sole per evitare il riverbero di un cielo blu cobalto che pensavo fosse solo un´invenzione delle cartoline per i turisti di passaggio. So che i tedeschi sono puntuali, per cui mi avvicino a passo spedito verso il balcone. Eva è lì che mi aspetta e appena mi riconosce in lontananza sorride e mi saluta agitando verso l´alto la mano destra.
"Hi Paolo, this is my boyfriend, Luca."
"Ciao Paolo! Finalmente un italiano con cui scambiare due chiacchiere come si deve."

giovedì 18 giugno 2009

Una passeggiata lunga vent'anni

“Ho percorso centinaia di chilometri, ho corso per le strade, solo per stare con te. In questo giorno d’estate che non sconta i gradi mi ritrovo qui sul lungomare di Anzio, perso nelle parole che cancellano il nostro passato ed inebriano il presente di profumi e di futuro. Il vento di questo mar Tirreno scompiglia i tuoi capelli e da sfogo ai miei pensieri dipanati in un turbinio di immagini sfalsate che abbraccia i soldati americani e le passeggiate in bermuda di Bruno Conti nell’estate dell’82. L’asfalto brucia di passi e pulsazioni. Abbasso gli occhi sulle mie gambe levigate dagli allenamenti per far finta di non guardar le tue, così sottili e proporzionate da darmi un’idea per certi versi forse oscena di ciò che è paradiso.”
Sono i versi del mio passato che scovo oggi in un recondito angolo del ripostiglio nel quale non mi affacciavo più da tempo. Ritrovati in questo pomeriggio di fine marzo che mi ha casualmente riaccompagnato sul lungomare di Anzio dopo più di vent’anni. Panchine graffiate di salsedine, due piccoli bar appena riaperti, cabine balneari ancora da sistemare prima dell’arrivo dell’estate, gente che passeggia nei cappotti aperti. Qualcosa di acerbo e inebriante si esprime nel volo dei gabbiani che volteggiano a pelo d’acqua fin sopra i lampioni di strada. Io ero, io sono. E qualcosa che unisce: una passeggiata lunga vent’anni. Più lunga, più aspra di questo lungomare dove i bambini si inseguono in un acrobatico slalom fra i passanti e le biciclette dei vigili urbani in uscita per pattugliare il nulla che c’è tra il cielo e il mare. Un ristorante ormai in chiusura rigetta per strada gli ultimi avventori, sazi e rimbalzanti verso il bar più vicino alla ricerca di un digestivo. Uomini per lo più anziani accostano l’orecchio a moderne radioline per seguire tutto il calcio minuto per minuto, sopportando innervositi i rimbrotti delle mogli non ancora rassegnate. Le palme scuotono di tanto in tanto le loro alte chiome che proiettano gli sguardi verso immaginifiche mete esotiche. Quella scogliera in lontananza un giorno nascose e scoprì il paradiso.

Questo testo è stato pubblicato su Italia Gratis 2009-2010 - Leconte editore - 2009

venerdì 24 aprile 2009

Promenade

Alle due e mezza di notte, Roma era un deserto, nuda nel caldo opprimente. Quasi tutti i suoi abitanti si agitavano senza posa tra lenzuola appiccicose, e quelli che non riuscivano a dormire bestemmiavano contro l’afa soffocante della notte che nessun ponentino veniva a mitigare. L’afa del mese di agosto sciroppava l’aria. Anche la luna si nascondeva, sudata. Lampioni di luce gialla esaltando con il loro colore il calore che saliva dall’asfalto, davano l’illusione di lasciare in ombra le saracinesche delle botteghe chiuse. Marco, sul balcone, sbuffò l’ultima boccata di fumo, appoggiò la cicca sulla ringhiera e come faceva da bambino con le palline sulla spiaggia, mollò una schicchera. Una microscopica stella cadente volò dal terzo piano, proiettandosi verso il giardino del condomino del pian terreno con una traiettoria a spirale. “Up through the spiral staircase to the higher ground”: a Marco vennero in mente quelle parole, i versi finali di una canzone degli U2 di cui ora non ricordava il nome, che avevano accompagnato le sue giornate vent’anni addietro. Non riusciva proprio a ricordare come si intitolasse quella canzone, ed a pensarci bene la sua sigaretta aveva percorso quella spirale immaginaria verso il basso, non verso l’alto. Dopo le parole, però, anche le note cominciarono a vibrare nella sua mente senza lasciargli scampo e così, una dopo l’altra, parole e note riemersero. Nemmeno Marco sapeva da dove. In quei vent’anni erano successe tante cose ed oggi, a quarant’anni, col lavoro che martellava a ritmi inumani per tutta la settimana, Marco si rendeva conto di aver perso molta della sensibilità di un tempo, quella sensibilità che gli consentiva di affezionarsi alle cose che gli davano emozioni e di ricordarle nitidamente. Oggi era tutto così diverso, e la vita gli volava via dalle mani a velocità siderali, senza lasciargli un attimo per fermarsi a pensare, per capire dove stava andando e se la direzione era voluta o semplicemente frutto di un moto inerziale di cui aveva perso ogni consapevolezza e capacità di indirizzo.
“Oh, tell me, Cherry dance with me, turn me around tonight, up through the spiral staircase to the higher ground”: ecco, era quello il verso completo. Cominciò a canticchiarlo così, nell’umidità appiccicosa di quella serata che non ne voleva sapere di andare a dormire. Fece per accendere un’altra sigaretta ma lasciò perdere. Rientrò in casa e accese le luci del salone. Si diresse verso la libreria dove cercò quasi con ansia quel libro che aveva comprato il primo anno d’università, dove c’erano tutte le canzoni degli U2 con testo tradotto e note di approfondimento. Per qualche attimo temette di non averlo più, di averlo perduto in uno dei traslochi che aveva fatto negli anni precedenti. Ma continuò a cercare, e alla fine lo scovò arroccato dietro agli ultimi libri che aveva acquistato che trattavano della gestione dello stress nel mondo della competizione globale. “Quante cazzate” pensò, appropriandosi con soddisfazione dell’oggetto della sua ricerca. Copertina verde, foto dei quattro di Dublino ancora ragazzi, sfondo desertico (probabilmente il sud della California), duecentocinquanta pagine leggermente ingiallite. Marco si domandò quando fosse stata l’ultima volta che lo aveva aperto. Non seppe darsi una risposta, ma in fondo importava poco. Era morbosamente attratto dall’idea di essere in contatto con quel frammento del suo passato remoto. Sapeva che sarebbe bastato cominciare a sfogliare qualche pagina per riappropriarsi di immagini che il tempo aveva macchiato d’oblio e che ora gli avrebbero riaperto l’anima. Era eccitato, quasi frenetico nel rileggere quei testi. Non provava stanchezza, né tanto meno sentiva più il caldo. Sapeva che la mattina seguente, svegliandosi alle sette, avrebbe maledetto quella notte. Ma non gli importava niente. Quel libro era parte di lui. Li dentro c’erano le sue radici, il suo DNA emozionale, per certi versi la sua educazione etica e sentimentale.
“Cherry dance with me, turn me around tonight”: c’era qualcosa di estremo, dolcemente inesorabile in quelle parole. Ma la canzone non l’aveva ancora trovata, forse perché non aveva fretta di incontrarla. Gustava quelle pagine ripassando testi e commenti che un tempo conosceva a memoria, incuriosito da quelle sottolineature a matita che intendevano dare maggior forza ai contenuti. Leggeva con avidità i testi di I will follow, A day without me, Gloria, October, New year’s day, Party girl, The unforgettable fire: album particolare, The unforgettable fire. Le sue atmosfere portavano qualcosa di quella notte, dall’idea del fuoco indimenticabile al cielo dell’estate indiana. E proprio nel mezzo delle pagine di The unforgettable fire trovò quelle parole: “Oh, tell me, Cherry dance with me, turn me around tonight, up through the spiral staircase to the higher ground”. L’aveva trovata! Promenade era il titolo della canzone, e chi se lo ricordava che esistesse? Lesse tutto il testo, spulciando anche tra le note a piè pagina per capire il significato autentico di quel versetto che ormai da più di mezz’ora ballava con lui.
“E’ un’espressione usata quando si muore: qualcuno viene a prenderti e ti porta in cielo attraverso una scala a forma di spirale”. Marco soprassalì: il buio, il caldo, la stanchezza che cominciava ad affiorare. Rilesse una seconda volta quella nota, una terza e poi un’altra ancora. Il volto di suo padre era lì, al suo fianco, nel letto della casa dove aveva sempre riposato dopo i suoi innumerevoli viaggi nel giorno in cui partiva per quello dal quale non sarebbe più tornato. I suoi occhi gli stavano dando l’ultimo saluto, l’ultimo generoso incoraggiamento prima di lasciarlo. Le parole che aveva ricordato quella notte così all’improvviso, emerse inconsciamente, gli sembrarono un saluto che veniva dal cielo. In quel momento desiderò con tutte le sue forze che qualcuno gli riportasse suo padre, che percorresse quelle scale a forma di spirale verso il basso, magari proprio lì sul suo terrazzo, dove ora si sentiva solo, senza niente che potesse sollevarlo da quella disperazione che gli annodava lo stomaco. Si asciugò gli occhi ormai liquidi, soffocando un singhiozzo con un atto di volontà supremo, sapendo che suo padre non avrebbe voluto vederlo piangere.
Un urlo rabbioso squarciò il silenzio di quella notte insonne.

mercoledì 21 gennaio 2009

Tra New York e Mosca

Lo schermo del pc mi sta fissando ancora. Una nuova email da aprire: l’ha mandata il dottor Nencini. Sarà la richiesta della solita presentazione per un cliente importante, che non la leggerà mai.
Dovrà essere “ben strutturata”, dovrà “raccontare una storia”, dovrà risultare “sintetica ed esaustiva in tutti gli argomenti che affronta”. E, soprattutto, dovrà essere “pronta per ieri”. Motivo per cui arriva una nuova email che mi blocca il calendario di outlook per domani alle 19: REVIEW PRESENTAZIONE compare nell’oggetto. Addio allenamenti. E, se si tira troppo per le lunghe, salta pure la cena organizzata con gli amici. Chiuso qui, in questo open space che più ottuso non si può. Brancolando nel vuoto del mio cervello ormai prosciugato di qualsiasi ispirazione che entro domani si deve inventare trenta slide di affermazioni di facciata che suonano false già nel momento in cui le penso.
Devo solo cercare di farle piacere al dottor Nencini, il principe di power point, lo stratega della consulenza aziendale che vive solo di equazioni. Dovrò inventarle durante una riunione per il progetto six sigma, rileggerle col sottofondo usurante e chiassoso di decine di telefonate a cui i colleghi avranno la creanza di rispondere utilizzando gli stessi toni dei venditori di pesce al mercato del sabato mattina.
Distolgo lo sguardo dallo schermo e vedo gli aerei volare in alto tra New York e Mosca.
Ma qui sembra non importare niente a nessuno.
Ed io non ce la faccio più.

Questo testo è stato pubblicato sul numero 64 della rivista letteraria internazionale Storie - Leconte editore - 2009