venerdì 24 aprile 2009

Promenade

Alle due e mezza di notte, Roma era un deserto, nuda nel caldo opprimente. Quasi tutti i suoi abitanti si agitavano senza posa tra lenzuola appiccicose, e quelli che non riuscivano a dormire bestemmiavano contro l’afa soffocante della notte che nessun ponentino veniva a mitigare. L’afa del mese di agosto sciroppava l’aria. Anche la luna si nascondeva, sudata. Lampioni di luce gialla esaltando con il loro colore il calore che saliva dall’asfalto, davano l’illusione di lasciare in ombra le saracinesche delle botteghe chiuse. Marco, sul balcone, sbuffò l’ultima boccata di fumo, appoggiò la cicca sulla ringhiera e come faceva da bambino con le palline sulla spiaggia, mollò una schicchera. Una microscopica stella cadente volò dal terzo piano, proiettandosi verso il giardino del condomino del pian terreno con una traiettoria a spirale. “Up through the spiral staircase to the higher ground”: a Marco vennero in mente quelle parole, i versi finali di una canzone degli U2 di cui ora non ricordava il nome, che avevano accompagnato le sue giornate vent’anni addietro. Non riusciva proprio a ricordare come si intitolasse quella canzone, ed a pensarci bene la sua sigaretta aveva percorso quella spirale immaginaria verso il basso, non verso l’alto. Dopo le parole, però, anche le note cominciarono a vibrare nella sua mente senza lasciargli scampo e così, una dopo l’altra, parole e note riemersero. Nemmeno Marco sapeva da dove. In quei vent’anni erano successe tante cose ed oggi, a quarant’anni, col lavoro che martellava a ritmi inumani per tutta la settimana, Marco si rendeva conto di aver perso molta della sensibilità di un tempo, quella sensibilità che gli consentiva di affezionarsi alle cose che gli davano emozioni e di ricordarle nitidamente. Oggi era tutto così diverso, e la vita gli volava via dalle mani a velocità siderali, senza lasciargli un attimo per fermarsi a pensare, per capire dove stava andando e se la direzione era voluta o semplicemente frutto di un moto inerziale di cui aveva perso ogni consapevolezza e capacità di indirizzo.
“Oh, tell me, Cherry dance with me, turn me around tonight, up through the spiral staircase to the higher ground”: ecco, era quello il verso completo. Cominciò a canticchiarlo così, nell’umidità appiccicosa di quella serata che non ne voleva sapere di andare a dormire. Fece per accendere un’altra sigaretta ma lasciò perdere. Rientrò in casa e accese le luci del salone. Si diresse verso la libreria dove cercò quasi con ansia quel libro che aveva comprato il primo anno d’università, dove c’erano tutte le canzoni degli U2 con testo tradotto e note di approfondimento. Per qualche attimo temette di non averlo più, di averlo perduto in uno dei traslochi che aveva fatto negli anni precedenti. Ma continuò a cercare, e alla fine lo scovò arroccato dietro agli ultimi libri che aveva acquistato che trattavano della gestione dello stress nel mondo della competizione globale. “Quante cazzate” pensò, appropriandosi con soddisfazione dell’oggetto della sua ricerca. Copertina verde, foto dei quattro di Dublino ancora ragazzi, sfondo desertico (probabilmente il sud della California), duecentocinquanta pagine leggermente ingiallite. Marco si domandò quando fosse stata l’ultima volta che lo aveva aperto. Non seppe darsi una risposta, ma in fondo importava poco. Era morbosamente attratto dall’idea di essere in contatto con quel frammento del suo passato remoto. Sapeva che sarebbe bastato cominciare a sfogliare qualche pagina per riappropriarsi di immagini che il tempo aveva macchiato d’oblio e che ora gli avrebbero riaperto l’anima. Era eccitato, quasi frenetico nel rileggere quei testi. Non provava stanchezza, né tanto meno sentiva più il caldo. Sapeva che la mattina seguente, svegliandosi alle sette, avrebbe maledetto quella notte. Ma non gli importava niente. Quel libro era parte di lui. Li dentro c’erano le sue radici, il suo DNA emozionale, per certi versi la sua educazione etica e sentimentale.
“Cherry dance with me, turn me around tonight”: c’era qualcosa di estremo, dolcemente inesorabile in quelle parole. Ma la canzone non l’aveva ancora trovata, forse perché non aveva fretta di incontrarla. Gustava quelle pagine ripassando testi e commenti che un tempo conosceva a memoria, incuriosito da quelle sottolineature a matita che intendevano dare maggior forza ai contenuti. Leggeva con avidità i testi di I will follow, A day without me, Gloria, October, New year’s day, Party girl, The unforgettable fire: album particolare, The unforgettable fire. Le sue atmosfere portavano qualcosa di quella notte, dall’idea del fuoco indimenticabile al cielo dell’estate indiana. E proprio nel mezzo delle pagine di The unforgettable fire trovò quelle parole: “Oh, tell me, Cherry dance with me, turn me around tonight, up through the spiral staircase to the higher ground”. L’aveva trovata! Promenade era il titolo della canzone, e chi se lo ricordava che esistesse? Lesse tutto il testo, spulciando anche tra le note a piè pagina per capire il significato autentico di quel versetto che ormai da più di mezz’ora ballava con lui.
“E’ un’espressione usata quando si muore: qualcuno viene a prenderti e ti porta in cielo attraverso una scala a forma di spirale”. Marco soprassalì: il buio, il caldo, la stanchezza che cominciava ad affiorare. Rilesse una seconda volta quella nota, una terza e poi un’altra ancora. Il volto di suo padre era lì, al suo fianco, nel letto della casa dove aveva sempre riposato dopo i suoi innumerevoli viaggi nel giorno in cui partiva per quello dal quale non sarebbe più tornato. I suoi occhi gli stavano dando l’ultimo saluto, l’ultimo generoso incoraggiamento prima di lasciarlo. Le parole che aveva ricordato quella notte così all’improvviso, emerse inconsciamente, gli sembrarono un saluto che veniva dal cielo. In quel momento desiderò con tutte le sue forze che qualcuno gli riportasse suo padre, che percorresse quelle scale a forma di spirale verso il basso, magari proprio lì sul suo terrazzo, dove ora si sentiva solo, senza niente che potesse sollevarlo da quella disperazione che gli annodava lo stomaco. Si asciugò gli occhi ormai liquidi, soffocando un singhiozzo con un atto di volontà supremo, sapendo che suo padre non avrebbe voluto vederlo piangere.
Un urlo rabbioso squarciò il silenzio di quella notte insonne.

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